Uno strumento di democrazia diretta che permette ai cittadini di segnalare, ideare e votare proposte migliorative per gli spazi pubblici del proprio quartiere e della propria zona di riferimento; e di votare i settori ritenuti prioritari per le politiche pubbliche del quartiere – verde urbano, mobilità, educazione e così via. È il Bilancio partecipativo, che nel Comune di Bologna è attivo dal 2017 e ha già visto quattro edizioni, con 72506 voti espressi, 1235 proposte ammesse al voto, 53 proposte finanziate, 13 milioni di risorse investite – 7 del bilancio partecipativo, 6 di altre risorse – con un massimo di 500mila euro per ciascun quartiere. «L’elemento più importante che il Bilancio partecipativo riesce a generare è la coesione sociale e la presa in carico, e quindi anche di responsabilità, nella cura di un bene comune da parte della comunità» dice in questa intervista a Driving Change Erika Capasso, Delegata del Comune di Bologna per il Bilancio Partecipativo, oltre che per Quartieri, Immaginazione Civica, Politiche per il Terzo Settore, Nuove Cittadinanze, Inchiesta sociale, Sussidiarietà circolare, Progetto Case di Quartiere.
Quando nasce il bilancio partecipativo a Bologna?
Nel 2017. È un progetto che arriva nella nostra città con la precedente amministrazione, ho ereditato la delega al bilancio partecipativo direttamente dall’attuale sindaco Matteo Lepore, allora assessore all’Immaginazione civica, oltre che a Cultura, Sport e Turismo, che portò il bilancio partecipativo nella nostra città. Fino ad oggi sono state fatte quattro edizioni a Bologna, quindi 2017-2018, 2019-2020, poi ci fu una pausa data sia dalla pandemia che dalle elezioni comunali, e poi abbiamo fatto l’edizione 2022-2023. Si tratta di un processo che è tutt’altro che consolidato nella sua forma, uno strumento che a volte si accende altre si spegne: ci sono città che lo hanno iniziato e poi abbandonato. A Ferrara un’associazione attiva nel tessuto civico della città sta studiando e approfondendo questo strumento per cercare di proporlo. Ci sono tutta una serie di complessità, è tutt’altro che scontato utilizzare strumenti di democrazia diretta, ed è tutt’altro che un risparmio di soldi, di risorse sia umane che economiche. Richiede coraggio e un reale impegno, sia politico che dell’amministrazione tutta, perché permette di ridistribuire un po’ di potere decisionale rispetto a come si vogliono impiegare delle risorse pubbliche del bilancio comunale.
Che tipo di impegno economico richiede?
È uno strumento che può avere diverse gradazioni di applicazione e di utilizzo: Bologna ha iniziato nel 2017 a utilizzarlo con un tetto di 100mila euro per quartiere, decidendo di far scegliere alla cittadinanza tramite questo strumento di democrazia diretta come dovessero essere utilizzate queste risorse. Attraverso un processo partecipativo, quello dei laboratori di quartiere, e poi attraverso il voto i cittadini potevano esprimere dei bisogni, delle esigenze, trasformarli in progetti e quindi con il voto scegliere su quali progetti destinare le risorse. Nel 2017 e nel 2018 il tetto è stato alzato a 150.000 euro a quartiere, nel 2019 e nel 2020 sono diventati 300.000 euro, e nel 2022-23 500.000 euro a quartiere. Quindi Bologna ha fatto un processo di avanzamento, di crescita e di consolidamento di questo strumento. Parliamo comunque di una percentuale di risorse sul bilancio complessivo molto ridotta, sotto l’1% anche con l’ultimo livello, quello dei 500.000 euro a quartiere, che per noi significa 3 milioni di bilancio comunale. Non è una cifra piccola, ma è chiaro che se la leggiamo in relazione all’intero bilancio, che ammonta a oltre un miliardo di euro, parliamo di una percentuale molto ridotta. Quando lo strumento fu istituito, in Brasile a Porto Alegre negli anni ‘90, quella processualità si aggirava intorno alla definizione del 15% delle risorse pubbliche comunali. Quindi è chiaro che abbiamo ancora molta strada potenzialmente da percorrere.
Su che tematiche è stato avviato il progetto?
Abbiamo iniziato dando ai cittadini e alle cittadine uno spazio decisionale su delle progettualità che riguardassero la trasformazione dello spazio pubblico. Via via li si è portati a dare indicazioni anche sulle priorità politiche, dando loro uno spazio di votazione oltre che su un progetto di trasformazione fisica, anche sull’indicazione del cosa è prioritario rispetto alle politiche pubbliche del quartiere: che vengano investite risorse sul verde urbano, o sull’educazione, oppure sui servizi educativi di prossimità, o ancora sul welfare culturale o sulla mobilità. Insomma, abbiamo dato uno spazio alla cittadinanza anche per dare indicazioni di priorità politica, che è un elemento fondamentale dell’originaria visione del bilancio partecipativo. Quando le risorse arrivarono a essere 300 mila euro per quartiere, si decise di istituire un doppio livello: uno che oggi potremmo definire, richiamando anche i principi dell’amministrazione condivisa, di co-programmazione, di indicazione e indirizzo sulle priorità; e dall’altro lato di coprogettazione, con il voto direttamente ai diversi progetti di trasformazione fisica che si vogliono vedere realizzati nel proprio quartiere.
E poi?
Nell’ultima edizione del 2023 abbiamo fatto un ulteriore salto, arrivando a 500mila euro per quartiere, e mantenendo il doppio livello – trasformazione fisica di un territorio, ma anche cura della comunità di quel territorio. Anche perché uno degli elementi di criticità che abbiamo riscontrato nelle prime edizioni era che il fatto di invitare i cittadini e le cittadine a lavorare solo sulle proposte di trasformazione fisica: una volta passata la fase del voto, però, i cittadini non avevano più nei fatti un ruolo. La palla passava all’amministrazione che aveva a quel punto la responsabilità e il compito di realizzare i progetti votati e decisi dalla cittadinanza. Questo però creava uno iato tra il momento del voto e quello della realizzazione di quell’opera, un vuoto che rischiava anche di creare disaffezione da parte della cittadinanza. Quello che invece è, io credo, l’elemento più importante che i processi di democrazia diretta, in particolare il bilancio partecipativo, riescono a generare, è la coesione sociale e la presa in carico, e quindi anche di responsabilità, nella cura di un bene comune da parte della comunità.
Qual è il rischio?
Se non troviamo il modo di alimentare quella cura e responsabilità da parte della cittadinanza, rischiamo di non far radicare una comunità, mentre invece il processo dovrebbe servire proprio a questo. Nell’edizione 2022-2023 abbiamo così deciso che dopo il voto con il quale i cittadini sceglievano le proposte di progettualità prioritarie, il processo avrebbe continuato ad essere costantemente condiviso con la comunità dei proponenti, che però avrebbero avuto a loro volta la responsabilità di coinvolgere il resto dei cittadini di quel territorio. Abbiamo così elevato l’ammontare delle risorse complessive a 500.000 euro per quartiere dedicando il budget a interventi di cura della comunità, e non di trasformazione fisica. Questo ha fatto sì che anche dopo il voto le persone continuassero a essere costantemente coinvolte per iniziare a costruire insieme delle attività immateriali, non di trasformazione fisica, ma di cura della comunità, che fossero chiaramente coerenti con la visione del progetto vincitore. In questo modo abbiamo continuato ad alimentare il coinvolgimento dei cittadini, mentre parallelamente si continuava a lavorare con i progettisti al progetto di trasformazione fisica. Nelle sei zone che hanno individuato ciascuna un progetto vincitore abbiamo effettivamente avuto una presenza costante, un’attivazione costante di queste comunità che hanno continuato a essere protagoniste della cura di quel pezzo di città.
Mi fa un esempio di questi progetti immateriali?
Una delle nostre ultime proposte progettuali vincitrici in un quartiere, in una zona di confine della città, prevede una serie di interventi su una piazza: di rinverdimento, illuminazione, aggiunta di panchine e di una zona aggregativa coperta dove poter fare degli eventi. È una piazza che ha bisogno di riscoprirsi bella, come luogo dove passare piacevolmente il tempo insieme e creare reti di solidarietà e di mutualismo, perché quella è la necessità reale di quel luogo. Quindi nel costruire insieme alle persone il progetto di trasformazione fisica, che richiede tempo, uno studio di progettazione, una serie di procedure burocratiche, a quella comunità è stato chiesto cosa c’è bisogno di fare nel frattempo, anche per coinvolgere tutto il resto della cittadinanza in questo progetto e rispondere ai bisogni di questa comunità, perché quelle risorse devono essere redistribuite per i bisogni della comunità tutta. Con le risorse del bilancio partecipativo sono così stati organizzati dei laboratori di logopedia per i bambini, che vivono in edilizia residenziale con condizioni di fragilità economica e sociale, quindi con famiglie che magari non hanno una disponibilità economica per permettersi un certo tipo di percorsi di apprendimento. E ancora attività di dopo scuola, feste per momenti di convivialità, un corso di yoga solo per donne che potesse essere seguito anche da donne di fede musulmana che magari in una classe unisex non parteciperebbero.
Che altro?
Sono stati coinvolti i ragazzi più giovani di quella zona nel fare dei murales sugli edifici pubblici – sulla casa di quartiere, sul muro della scuola – perché ci fosse una loro espressione diretta anche visiva, finanziando dei percorsi di coprogettazione, anche per aumentare il senso di appartenenza, di riconoscibilità. Sono stati anche accompagnati a costruire una pagina Instagram che hanno soprannominato Il villaggio dei colori, perché la loro piazza si chiama piazza dei colori. In altri contesti, un altro quartiere ha coinvolto diverse associazioni nel riprogettare la sentieristica e anche una parte di arredi e attrezzi su delle vie di camminamento lungo il fiume Savena. Mentre stavano progettando questi interventi fisici, per quanto riguarda le attività immateriali i cittadini hanno organizzato laboratori con i bambini per far conoscere il lungo Savena, passeggiate con le famiglie, escursioni, trekking urbani, tutto gratuito, con le navette di accompagnamento per le persone a scarsa mobilità. Attività che aiutano anche a condividere con il resto della cittadinanza il senso del progetto che si vuole vedere realizzato.
In che forme si esprime la partecipazione dei cittadini?
Il processo inizia con una chiamata a partecipare a dei laboratori di quartiere che si svolgono in presenza. Ci si incontra fisicamente, e lì ogni cittadino e ogni cittadina può portare un personalissimo bisogno, pensiero, idea, così come quello di un collettivo già istituito, di un’associazione. In quella sede viene chiesto loro di compilare delle schede con il bisogno e l’idea progettuale relativa a una zona specifica della città. C’è anche la possibilità di farlo online tramite la piattaforma Partecipa, su cui compilare un form in cui si descrive l’idea legata a un bisogno: prendersi cura di un prato, un campo da basket, una scuola, una piazza, un luogo. In seguito continua il percorso di laboratori in cui i cittadini e le cittadine continuano a incontrarsi, accompagnati dai colleghi del Comune di Bologna e anche della Fondazione IU Rusconi Ghigi a elaborare le idee in proposte progettuali, anche con degli strumenti come delle mappe dove si fa vedere cosa effettivamente già c’è, cosa è in via di esecuzione, quello che il Comune di Bologna sta già facendo, per evitare anche che la progettazione dei cittadini sia disancorata dalla realtà. Non sempre ci sono tutte le informazioni a disposizione, che invece sono il primo elemento essenziale per poi fare una buona e vera progettazione reale e non demagogica: farla sulla base dei dati reali è fondamentale.

Quante proposte sono state presentate?
Nella nostra ultima edizione siamo partiti con 385 idee e altrettante schede compilate, e siamo arrivati a 49 progetti. Abbiamo cercato di far lavorare insieme le persone che avevano idee comuni, o che potessero stare insieme su territori comuni. Una volta che i progetti sono stati definiti e anche vagliati dalla componente tecnica coinvolta nel processo, che deve dare un ok di fattibilità per assicurarci che se quel progetto poi fosse effettivamente vincitore, noi poi lo realizzeremmo così come è stato votato. Un problema dei primi anni in cui non eravamo rodati, infatti, è stato far votare dei progetti senza fare un controllo preventivo, con il rischio dopo il voto di trovarsi a scontrarsi con i limiti tecnici che impedivano di fare le cose come erano state progettate, che imponevano di modificarle. Questo genera enorme frustrazione nella cittadinanza, quindi è molto importante nel processo che questo studio di fattibilità venga fatto prima, in modo da mantenere un rapporto trasparente e anche di rispetto reciproco con la cittadinanza, che diventa un legame di fiducia. Se si dice in anticipo che un determinato progetto non può essere realizzato come era stato inizialmente pensato, allora si può modificare e trovare un accordo, una mediazione, una soluzione prima di andare al voto.
E una volta chiuse le proposte?
Queste vanno al voto: sulla piattaforma Partecipa possono esprimere il proprio voto per un progetto tutti i cittadini e le cittadine a partire dai 16 anni che risiedono nel Comune di Bologna, ma anche i non residenti che lavorano, studiano o fanno attività di volontariato nel Comune di Bologna, e quindi anche i cittadini senza nazionalità italiana. Bologna è una città universitaria, quindi è molto importante includere la popolazione studentesca, che in molti casi non prende la residenza a Bologna ma vive qui e studia qui. Quindi per questo basta un’autocertificazione per accertare queste condizioni, poi però il voto è tramite Spid. Durante la fase di voto, che di solito dura un mese, ci sono diverse postazioni fisiche in giro per la città con i nostri dipendenti comunali, degli uffici rete, di quartiere, gli agenti di prossimità della Fondazione IU Rusconi Ghigi che si mettono a disposizione per aiutare le persone che magari trovano difficoltà digitale nell’esprimere il proprio voto. Nel 2023 abbiamo avuto quasi 20mila voti.

Ormai da alcuni anni la partecipazione dei cittadini tende a calare, voto incluso, voi invece che tipo di riscontro avete incontrato? C’è interesse da parte della cittadinanza per questo genere di coinvolgimento attivo?
A Bologna la crisi di partecipazione non si sente, è una città da questo punto di vista molto privilegiata, mi rendo conto che viviamo in una nostra bolla da questo punto di vista. Però c’è un dato di cui tenere conto: dobbiamo uscire dall’idea che ci sia un’unica forma di partecipazione, credo che Bologna sia una città che continua ad esprimere un grande e crescente desiderio e anche responsabilità di partecipazione da parte dei cittadini, che però si manifesta in diversi modi, non in uno solo. Magari non è solo venire al laboratorio di quartiere del bilancio partecipativo, ma anche i modi conflittuali di essere presenti e di esprimere un proprio desiderio, una propria necessità, un proprio bisogno in città, io credo che andrebbero riconosciuti e rispettati come strumenti di partecipazione della cittadinanza. Quindi diciamo che su questo Bologna non si fa mancare niente, c’è una grande e continua attivazione attraverso tutti gli strumenti, c’è chi sceglie lo strumento del patto di collaborazione, chi di partecipare ai bilanci partecipativi, chi fa i percorsi di coprogettazione nel caso di terzo settore più strutturato, ma ci sono anche studenti o gruppi più antagonisti che magari non riconoscono queste pratiche istituzionali ma partecipano con dei loro percorsi anche partecipativi ma svincolati dai processi istituzionali. Credo che la vera sfida sia riconoscere che questo comunque è un dato positivo rispetto al tessuto democratico della città e trovare delle forme di dialogo, che non vuol dire di cooptazione. L’unica forma di partecipazione che sta in realtà vedendo una crisi ovunque, e questo anche ci riguarda, è quella alla forma più tradizionale di partecipazione alla vita democratica che è quella del voto. Però io credo che riuscire a dare spazio, tempo e anche costanza e coerenza nei processi anche di partecipazione diretta o deliberativa possa assolutamente nel tempo rinsaldare e aiutare anche i processi di democrazia rappresentativa, di questo sono assolutamente convinta.
Quale la prospettiva? Quale il vostro obiettivo?
Stiamo aprendo un processo di riforma dei quartieri, e quindi di revisione del nostro sistema di decentramento cittadino: a dieci anni dall’ultimo regolamento riapriamo un percorso di revisione della forma di governo del territorio. Questo anche perché sentiamo, dopo otto anni di sperimentazione dello strumento del bilancio partecipativo, di essere arrivati a un punto di maturazione sufficiente per metterlo a sistema. Sentiamo l’esigenza di strutturarlo come un effettivo modello di governo della città, di amministrazione condivisa, che prevede in forma strutturale, permanente, costante e trasparente l’utilizzo del bilancio partecipativo e della democrazia diretta per la definizione in parte delle priorità sulle politiche pubbliche, e in parte della gestione diretta delle risorse economiche della pubblica amministrazione, territorio per territorio. Vediamo integrarsi e congiungersi questi due livelli, l’obiettivo che ci stiamo ponendo è quello di capire come la messa a sistema del bilancio partecipativo possa passare dalla riforma dei quartieri, e quindi fare in modo che venga ancorato come sistema di funzionamento dei quartieri. In parte lo è già, ma abbiamo bisogno di mettere a registro un po’ di aspetti, di processi e anche l’ammontare di risorse, in modo che sia costante, continuativo ogni anno. Si deve sapere quante risorse sono state definite per ogni quartiere, come viene gestito al loro interno questo processo in maniera costante, il personale dedicato, perché possa essere davvero uno strumento che permetta ai territori di decidere come utilizzare le risorse, e di impostare dei processi di programmazione condivisa bottom up. Si vuole insomma fare in modo che partano dai quartieri processi che fanno programmazione territoriale, dando indicazioni alla programmazione di tutto l’ente: credo che questa sia la vera sfida per dare completa e piena attuazione allo strumento del bilancio partecipativo.
