La flotta di A380 della Qantas potrebbe giacere abbandonata a migliaia di chilometri da casa, nel caldo secco del deserto del Mojave, ma il CEO Alan Joyce resta ottimista sul futuro della compagnia. Mentre Delta, American, United, Air France, British Airways e Lufthansa – tra le tante – hanno ricevuto miliardi in aiuti governativi a seguito della crisi causata dal Covid-19, il vettore nazionale australiano è un’eccezione evidente. Il governo ha infatti in gran parte rifiutato di seguire l’approccio adottato da altre nazioni.
Almno in parte. All’inizio della crisi, il governo ha cancellato imposte dovute da tutto il settore dell’aviazione, e 15.000 dipendenti della Qantas messi in congedo sono stati coperti da sussidi salariali pubblici. Ma al di là di ciò, nessun salvataggio diretto. E, fatto insolito, nemmeno forti pressioni da parte del “campione nazionale” per ottenerlo.
Certo, l’irlandese Joyce ha guidato una campagna molto visibile contro nuovi salvataggi pubblici per il settore, vista da molti come un modo per colpire il principale concorrente interno, Virgin Australia, che è poi finita in amministrazione controllata dopo il rifiuto del governo di intervenire.
Secondo Warren Hogan, economista e professore all’Università di Tecnologia di Sydney, la posizione di Joyce è stata “musica per le orecchie” di un governo storicamente contrario agli aiuti di Stato:
“È stato una figura incredibilmente influente… sapeva esattamente cosa il governo voleva sentirsi dire.”
Finora, l’approccio laissez-faire dell’Australia ha funzionato. Dopo due round di raccolta di capitale, Qantas afferma di avere liquidità sufficiente per resistere fino alla prevista ripresa economica. E la concorrenza, o almeno il duopolio, è stata mantenuta grazie all’acquisto di Virgin Australia da parte del fondo Bain Capital. I contribuenti australiani hanno quindi evitato i costi miliardari sostenuti da Europa e Nord America.
I lavoratori del settore aereo, però, sono stati meno fortunati. Il traffico internazionale sta riprendendo in varie parti del mondo, ma non in Australia, dove i confini restano chiusi. Dopo una parziale riapertura, anche i voli domestici – i più redditizi per Qantas – sono calati a causa di focolai locali e chiusure dei confini tra stati. Qantas ha licenziato 6.000 persone, circa un quinto della sua forza lavoro, e Virgin Australia ne ha tagliati circa 3.000, un terzo del personale.
Oltre la metà dei dipendenti Qantas rimasti riceve sussidi salariali statali, ma questi inizieranno a calare da settembre e saranno eliminati del tutto da gennaio.
Il governo considera il programma JobKeeper come una misura d’emergenza, sostenendo che renderlo permanente rischierebbe di mantenere in vita aziende “zombie”. Tuttavia, compagnie aeree e sindacati chiedono un nuovo sussidio mirato al settore dell’aviazione per evitare ulteriori tagli.
Anche molti economisti di mercato ritengono che esista una forte giustificazione per sostenere i lavoratori del settore.
“L’aviazione deve essere pronta a ripartire con pochi giorni di preavviso,” dice Hogan.
“In questo caso, un sostegno diretto del governo alle imprese private è pienamente giustificato.”
Qantas era entrata nella crisi come una delle compagnie più redditizie al mondo, grazie a un decennio di ristrutturazioni dure, ma probabilmente saranno necessari ulteriori cambiamenti. Il nuovo assetto proprietario di Virgin potrebbe innescare un’ondata di concorrenza e tagli ai costi. Qantas ha già anticipato il ritiro della sua flotta di Boeing 747.
Joyce assicura che la crisi non ha fatto deragliare l’impegno di Qantas, preso nel 2019, a diventare carbon neutral entro il 2050. La compagnia sta testando nuovi biocarburanti e Joyce ritiene che sviluppare un’industria nazionale in questo campo possa essere una leva importante per la ripresa economica. Tuttavia, parlando la scorsa settimana a un evento dell’Università Griffith, ha ammesso che si tratta di un “obiettivo ambizioso” e ancora distante.
Joyce riconosce che anche il capitalismo australiano dovrà cambiare dopo la crisi:
“Dobbiamo guardare a tutti gli stakeholder. Concentrarsi solo sugli azionisti è sbagliato, perché esiste un circolo virtuoso: se fai la cosa giusta per i dipendenti, per i clienti e per la comunità, anche gli azionisti ne beneficiano enormemente.”
Un tipo di discorso che forse piace meno all’attuale governo rispetto alla sua opposizione agli aiuti pubblici.
Joyce, uno dei pochi CEO apertamente gay alla guida di una grande azienda, non evita i temi di politica pubblica. Durante la campagna per la legalizzazione del matrimonio egualitario in Australia, nel 2017, gli fu lanciata una torta in faccia. Un ministro lo ammonì pubblicamente a “tornare a occuparsi del suo”.
Ma resta il dubbio se un dirigente ammirato (e allo stesso tempo criticato) per il suo rigore e per l’attenzione agli interessi degli azionisti sia davvero disposto, o in grado, di promuovere un nuovo “contratto sociale”. Ha rinunciato al suo stipendio per quattro mesi durante la crisi, ma resta uno dei dirigenti più pagati d’Australia.
Tuttavia, anche questo governo sembra poco propenso a restare a guardare qualora la ripresa non si materializzasse. Qantas si autodefinisce “lo spirito dell’Australia” e viene percepita come un simbolo nazionale.
Tony Webber, ex capo economista della compagnia e ora consulente nel settore, è sicuro che il governo interverrebbe se necessario:
“Non lasceranno mai fallire la Qantas. Se Qantas fallisce, non esiste più l’aviazione in Australia. E il governo non lo permetterà.”